Storia di un impiegato esce in un decennio "caldo" (a grandi linee quello che va dal 1968 al 1977). Allora più di oggi la musica era qualcosa di più di un semplice passatempo: le canzoni, specie quelle dei cantautori più impegnati, si traducevano spesso in veri e propri "manifesti di pensiero", cartine tornasole di un mondo raccontato con le lenti mai banali dell'accusa o dell'ironia. Nelle canzoni di De Andrè, in particolare, è dedicata particolare attenzione alla condizione delle classi operaie, dipinte, con alcuni efficaci tocchi di pennello, sullo sfondo di un'Italia in perenne mutamento, divisa tra il benessere del "boom" economico, che l'aveva vista protagonista solo pochi anni prima e il sangue versato nelle piazze, macchia indelebile di affronti politici che si traducevano sempre più spesso in lotta armata. Quindi, "fare musica" aveva un significato ben più profondo del semplice risultato artistico: il significato simbolico di tante canzoni era l'arma segreta in possesso del cantautore con la quale poteva comunicare al suo pubblico; la voce, mai urlata, con la quale esprimere il proprio dissenso. In quest'ottica, De Andrè rappresenta forse uno spartiacque fondamentale: altri prima e dopo di lui (si pensi a Pietrangeli, Lolli, Guccini solo per citarne alcuni) si sono cimentati con tematiche di carattere politico, ma nessuno come lui l'ha fatto in modo così ampio, onnicomprensivo, e soprattutto (ci sia permesso) poetico. Paradossalmete però tutto questo non gli guadagnò inizialmente il favore del pubblico. Il linguaggio spesso oscuro, il verso ardito, una certa sensibilità verso tematiche considerate prettamente "borghesi" gli alienarono, almeno all'inizio, il favore di chi voleva farne un paladino colto della propria causa. Ma come ogni spirito libero, De Andrè rivendicherà sempre il proprio diritto a cantare del mondo visto coi propri occhi. Senza pretese, senza illusioni.
L'Album(*)
Con "Storia di un impiegato" siamo tuttavia dinanzi ad una svolta nel modo di fare musica in De Andrè. In questo album molto innovativo in quanto a suoni ed arrangiamenti, il cantautore genovese affronta il tema a lui tanto caro della condizione della classe operaia senza trascurare riferimenti espliciti ai moti studenteschi che, partiti dalla Francia, dilagarono ben presto nel resto d'Europa. La "Canzone del Maggio", di cui si tratterà dettagliatamente più avanti, è emblematica da questo punto di vista: se da un lato essa contribuisce a guadagnargli il favore di quanti, dopo lo "sgarro" de "La Buona Novella", gli avevano voltato le spalle accusandolo di "collusione col mondo borghese", dall'altro lato essa, riprendendo un canto degli studenti del Maggio francese, amplifica col pungolo delle sue parole lo sdegno di De Andrè nei confronti di quanti, pur essendo coinvolti, scelgono di non schierarsi, di non prender parte. E' un procedere innaturale contro il valore delle proprie idee che De Andrè non può accettare nè tacere. Questa canzone è una sorta di introduzione a quello che si rivelerà poi essere un "concept-album" (disco cioe' in cui tutte le canzoni sono legate fra di loro come i capitoli di un romanzo). Il protagonista è un impiegato trentenne, dedito, come molti lavoratori della sua categoria, molto più alle piccole faccende quotidiane e familiari che ad una visione più ampia degli infiniti sentieri della vita. Ascoltando il brano studentesco cinque anni dopo le lotte, tuttavia, l'impiegato, nel brano "La bomba in testa" comincia a chiedersi per quale motivo dei ragazzi poco più giovani di lui, invece di adagiarsi su di una vita costellata di frasi fatte ("Grazie a Dio", "Buon Natale") e di un posto di lavoro sicuro, si siano lanciati in una rivolta così feroce e, quasi certamente, condannata alla sconfitta. Si rende conto, quindi, di trovarsi a far parte di quella schiera di persone che gli studenti combattevano, inchiodato alla sua vigliaccheria, dovuta alla sottomissione automatica che il potere impone in chi lo accetta passivamente. E proprio quando la sua età e le sue abitudini lo potevano completamente mettere fuori gioco, si accorge di avere la forza per ribellarsi al potere stesso, anche adesso che le rivolte studentesche sono finite, e comincia ad immaginare un modo per farlo, e per "farcela da solo".E comincia a sognare; un sogno che si articola in tre brani di grande atmosfera, in cui l'impiegato "cataloga" i vari tipi di potere, da quello borghese a quello paterno, fino a quello ufficiale della magistratura, trovando un filo che li unisce tutti quanti. Dapprima sogna di mettere una bomba in un ballo mascherato dove sono radunati tutti quei personaggi che, nella storia, hanno simboleggiato un potere, una bandiera, un ideale. Chiaramente dietro questi personaggi si possono scorgere delle "figure ombra" del potere di quel periodo, ma il senso dell'accusa rimane comunque immutato al di la' dei singoli uomini. C'è Cristo "drogato da troppe sconfitte", costretto a rappresentare adesso proprio quella classe clericale che con le sue idee avrebbe invece voluto combattere, e sua madre Maria, offuscata dall'importanza di un figlio cosi' glorioso e che rimpiange quando era incinta come tutte le madri normali. C'è Dante Alighieri, il sommo poeta, che, forse per invidia, vorrebbe trasformare un amore normalissimo come quello di Paolo e Francesca in un chissà cosa di straordinario. La bomba dell'impiegato normalizza, la bomba rende tutti uguali, distrugge allo stesso modo i ricchi e i poveri, i perdenti e i vincitori, gli illusi e i disillusi. La bomba è imparziale, trancia odi e amori, speranze e rimpianti, vanità e invidia. Così come esplodono i vezzi della Statua della Liberta', che dallo specchio voleva conferme alla sua bellezza e agli ideali che crede, sbagliando, di rappresentare. Al ballo non manca nemmeno l'ammiraglio Nelson, fiero condottiero colonialista e impavido comandante che portò il suo esercito al trionfo diTrafalgar rimanendo però ucciso nella battaglia. Quale allegoria più spietata per condannare l'assurdità della guerra? Ci sono poi il padre e la madre dell'impiegato, le prime figure di potere che incontriamo nella nostra vita e che, magari a scapito del figlio, fanno di tutto per soddisfare i propri bisogni personali, sia materiali che psicologici credendo di fare il bene dell'erede e rovinandogli invece la vita. Anche loro esploderanno, liberando il figlio dalla loro autorità. Per ultimo esplode l'amico che ha insegnato all'impiegato l'arte della bomba. Qui viene alla luce il punto più alto di individualismo, quella libertà assoluta che, per essere completa, non deve sopportare remore di nessun tipo e non deve ringraziare nessuno. Ed e', "Storia di un impiegato", fondamentalmente il disco di un individualista sconfitto. L'azione autonoma, la vendetta solitaria: tutto viene visto in funzione della liberazione da tutto, perche' tutto e' potere, padroni, amici, poliziotti e genitori. Questa vendetta cieca verso il potere altro non è che un ultimo disperato sfogo di un uomo solo e fragile (aggettivo che De Andre' ci riproporra' anni dopo in un contesto forse piu'vicino a questo di quanto possa sembrare) ed incatenato per anni, senza accorgersene, ai voleri di chi sta sopra di lui. Ma l'illusione dell'impiegato durera' poco. Infatti nel successivo brano, "Sogno numero due", un parlato quasi psichedelico in cui la voce di De Andrè riecheggia come uno sparo nel buio, la voce narrante è quella di un giudice. L'impiegato è stato infatti scoperto, e ora crede che ad attenderlo ci sia una pena terribile. Scopre invece, attraverso le parole del giudice, che il potere gli è grato per quella bomba, perché il potere si deve sempre rinnovare, non può rimanere molto tempo nelle stesse mani, e, distruggendo una parte di esso con la bomba al ballo, l'impiegato entra automaticamente a far parte del potere stesso che credeva di annientare. Lui con la bomba ha "assolto e condannato" al di sopra del giudice stesso che ora gli parla e può decidere autonomamente la sentenza che lo riguarda. Ecco il potere, quindi, che si dimostra quasi invincibile ed estraneo alle singole persone: se ti ribelli, non ha problemi a prenderti nelle sue fila, se pensi di colpirlo, lo hai invece aiutato. Il passaggio al brano successivo, "Canzone del padre", lascia spazio a molti interrogativi che, ovviamente, solo De Andre' potrebbe spiegare a pieno. L'impiegato probabilmente è in una fase di confusione mentale, il sogno gli sta rivelando quella che poi si dimostrerà essere la cruda verità di cui sopra: il potere non può essere sconfitto, è troppo grande e radicato, tutt'al più si può entrare a farne parte fino a quando lui decidera' che va bene. Difatti l'impiegato prende il posto del suo stesso padre, entra in un gradino di mezzo della piramide del comando, rappresentata nel brano da un ponte da cui vedrà sia delle navi piccole che potrà indirizzare a piacere, sia delle navi grandi che "sanno già dove andare". La metafora e' fin troppo chiara: sei entrato nel potere ed hai qualcuno da comandare, ma avrai sempreanche qualcuno che ti comandera'. L'impiegato si accorge di come la vita del padre di famiglia sia piena di frustrazioni. Osserva Berto, amico dei tempi della scuola, che vede la madre lavandaia morire, e la seppellisce in mezzo alle lavatrici, macchine moderne che consentono alla classe borghese di evitare proprio la professione della mamma di Berto che, stanco e stremato, si lascia sopraffare dalla pioggia, senza fede ne speranza, e, come ogni poveraccio, viene liquidato dai giornali come "morto arrugginito".Dalla posizione del padre, poi, l'impiegato puo' vedere quanto sia snervante una vita sempre uguale, fra crisi di coppia e conti in banca che piangono. La moglie è sempre più distante da come l'aveva conosciuta, il figlio, disperato come e piu' del padre, prende la via della droga e si lascia morire, senza la preoccupazione di rialzarsi. Anche la famiglia, piccola costruzione gerarchica, e' quindi un fallimento e non puo' costituire un ancora di salvezza per chi cerca di liberarsi dal potere. L'impiegato, a questo punto, si sveglia. E' sudato, ma ha le idee più chiare. Prima della fine del sogno si è rivolto idealmente al giudice attaccandolo ("Vostro onore sei un figlio di troia") e, finalmente nella realtà, lancia il guanto della sfida al potere: "Ci vedremo davvero, io ricomincio da capo."Il brano successivo è "Il Bombarolo", ballata che riprende la parte musicale iniziale del disco. L'impiegato ha capito che il suo vero obiettivo non deve essere un semplice ballo dell'alta borghesia, bensì il Parlamento, luogo dove il potere esercita materialmente il proprio ruolo. Prima di far esplodere la bomba, l'impiegato si esprime contro diverse categorie di persone che avverserebbero il suo gesto. Innanzitutto gli impiegati come lui, quelli che si sono piegati alla vita comoda e a cui va bene che il potere decida al posto loro. Poi gli intellettuali, che con acrobazie improbabili cercano una via di cambiamento ormai da quando sono nati come categoria, senza decidersi, in pratica, ad affrontare alcuna azione materiale. In seguito la minaccia agli stessi soci vitalizi del potere, che sono latitanti ancor prima dell'impiegato stesso: lui lo sarà dopo la bomba per la legge, loro lo sono adesso che stanno per morire. Da notare che l'impiegato stesso si definisce un "trentenne disperato", ed arriva a questo gesto come ad un' ultima, estrema mossa per cercare di salvarsi, conscio già, forse, di non poterci riuscire. Purtroppo per lui la sua abilità dinamitarda rimane nel sogno, e, invece del Parlamento, ad esplodere è un' innocua edicola. Questo è il momento di maggiore disperazione dell'impiegato: a questo punto capisce di non avere scampo, di avere fallito totalmente, e, nei giornali dell'edicola che salta in aria, gli sembra di scorgere l'immagine della sua donna che, contrariata dalle sue gesta folli, lo lascia solo, disperato, avvilito, distrutto.E, dal carcere, l'impiegato si rivolge a lei, in una sorta di preghiera d'amore che ripercorre tutta la loro storia. Il sentimento è passato anche sopra le incomprensioni di carattere ideologico, ed è un qualcosa di troppo personale e complicato da raccontare ("un amore così lungo tu non darglielo in fretta"). Nella canzone c'è anche molta amarezza, per come la donna amata non abbia resistito al richiamo della società borghese, concedendosi, ora che l'impiegato è in carcere, al primo uomo che la mantenesse.In fin dei conti la canzone è facilmente riassumibile negli ultimi versi delle strofe in cui l'impiegato ammette che, nonostante l'amore reciproco,nessuna delle due personalità è cambiata e, dopo che lui è finito in carcere, la donna si è "fatta scegliere" da quel potere che l'impiegato ha cercato, invano, di distruggere. Due modi diversi di schierarsi e, inevitabilmente, una fine diversa. L'ultima canzone del disco, "Nella mia ora di libertà", l'impiegato racconta il carcere, negazione massima della libertà secondo il pensiero comune. Eppure anche la prigione è una piccola metafora del mondo: i secondini sono il potere, i carcerati le vittime che dovrebbero subire in silenzio.E diventa più che mai simbolica quell'ora d'aria in cui i secondi possono evitare il rapporto con i primi, "chiudendoli" a loro volta metaforicamente dentro il carcere ("di respirare la stessa aria di un secondino non mi va"). L'individualismo, sconfitto dai fatti, viene sostituito a questo punto da una nuova forma di lotta, la rivolta di massa, la stessa degli studenti del Maggio francese che apriva il disco, la stessa che mise l'impiegato nella condizione di guardarsi intorno e capire "che non ci sono poteri buoni". Nonostante il potere abbia dimostrato all'impiegato la propria forza, lui non riesce comunque a chinare la testa e ad arrendersi. Il disco si conclude come si era aperto: con i versi più significativi della "Canzone del Maggio": "per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti".
(*) Per la parte riguardante il commento all'album si è scelto di fare riferimento al sito: http://www.viadelcampo.com/html/storia_di_un_impiegato1.html
martedì 25 marzo 2008
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