Non è mai semplice accostarsi alla storia contemporanea. La grande pluralità delle fonti, e l'inevitabile divergenza fra i punti di vista utilizzati rendono il lavoro dello storico complesso e ricco di pericoli. Ancora più arduo è il compito dello storico che voglia accostarsi alla storia di un determinato periodo partendo da un'espressione artistica ad essa collegata. Pur essendo impossibile scindere completamente gli occhi dell'artista, che "bruciano" di fronte a ciò che vedono e reinterpretano secondo schemi necessariamente non oggettivi la realtà di cui sono testimoni, da quelli del semplice osservatore del tempo, è comunque possibile fornire almeno il punto di vista, la bussola con cui il lettore può osservare l'ottica intrapresa dall'artista e tentare di traslare il fatto entro le coordinate originali.
De Andrè e il Maggio
Il cantautore riflette a posteriori sull'esperienza del maggio francese e di tutte le sue conseguenze successive. In un certo senso l'evento è già storico, già lontano, e sebbene l'impiegato protagonista del racconto viva ancora la propria esperienza come riflesso degli ideali sessantottini, può già guardare ad essi con un certo distacco, un distacco che contiene sia il punto di vista drammatico e personale del protagonista, che quello storico e oggettivo.
Egli vede che la forza degli ideali del '68 è stata persa, travisata, rigettata e che la vita di tutte le persone comuni continua come se nulla fosse accaduto. Eppure, volenti o nolenti, la loro parte nella vicenda l'hanno recitata tutti. La società ne è stata scossa nella sua interezza ed il rifiuto di fronte a questa chiamata è una colpevole debolezza, una paura che però non cancella le potenzialità dell'evento.
De Andrè, per esigenze artistiche e non solo, si immedesima completamente nella mente dell'impiegato, che si trova ad un bivio di fronte alla realtà che osserva. La scelta tra l'individualismo (inconsapevole all'inizio) di azione terroristica e la rinascita dello spirito del Maggio, frutto dell'agire collettivo . Questo bivio però non si presenta in forma chiara alla mente del futuro bombarolo: le due strade ai suoi occhi si intersecano e non vede una soluzione prima delle visioni del sogno. Il fallimento dell'attentato al parlamento però, e il ritorno alla brusca realtà segnerà la fine dell'esperienza "storica" del "rivoluzionario armato", evidenziando come la via del Maggio non conduca per quella strada.
La conclusione del cammino, nel purgatorio della prigione, trova solo una soluzione per così dire "morale". Tutti sono responsabili del fallimento, o meglio del tramonto del Maggio, tutti sono coinvolti. Questo grande viaggio nello spirito del Maggio storico e ideale si conclude dunque con un monito che ricorda che l'ombra del '68 è sempre lì, pronta a risuonare sotto le note della "Canzone del Maggio".
Agli occhi dell'osservatore contemporaneo, a trent'anni di distanza dai fatti narrati, non è facile comprendere quella che può apparire una differenza "formale" in un clima di generale adesione. Lui e il bombarolo sono dalla stessa parte della barricata, ma lui ha la capacità di trovare la linea di demarcazione tra azione morale e azione immorale: questo grazie forse al personale taglio critico che gli deriva dall'essere un cantautore, il cui compito è narrare in primis la vicenda personale e spicologica dei suoi soggetti, così come del tempo in cui essi si muovono. La sopresa è che la morale viene completamente annullata, così come l'appartenenza ad una parte: la guerra personale individualistica del bombarolo lo renderebbe uguale a coloro che reggono la società che tanto disprezza, perchè sarebbe solo un affermazione personalistica. Capisce che il vero cambiamento deve avvenire nel pensiero delle gente, nel modo di rapportarsi agli eventi e che l'ineluttabilità della storia comunque trionferà, perchè l'incredibile potenza della consapevolezza collettiva guiderà gli eventi, al di là degli schieramenti e alle convinzioni personali. La storia non ha una morale, ma prosegue per la sua strada senza condizionamenti.
Grazie a queste coordinate dovrebbe ora essere possibile comprendere come il problema non sia tanto ideologico, e non riguardi l'insieme di valori e cognizioni dello storico, quanto la sua impostazione generale. Quella evidenziata da De Andrè è una battaglia di idee in un mondo in cui le idee non hanno realmente peso, quello che resta è la comprensione degli eventi nell'ambito del percorso storico generale.
martedì 25 marzo 2008
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